giovedì 9 aprile 2020

Correre in casa non è divertente, è terribile. Il runner deve essere libero come il vento

Non vedo l’ora di tornare a correre nelle mie campagne. E’ un mese che giro come una trottola attorno al mio cortile ed è sicuramente meglio di niente. Ma le mie campagne sono il meglio che ci sia in fatto di palestra. La strada Preloreto, l’alzaia del Naviglio Grande, la via Valle di Pontevecchio che porta alla Fagiana, gli sterrati tra Casterno e Carpenzago tra i fontanili su tutte. Non c’è paragone. Il resto è nulla a confronto. Mi manca, cosa volete che vi dica. Qualcuno mi darà dell’insensibile e del viziato di fronte alla tragedia. Va bene, non avete capito niente sappiatelo. Stiamo galoppando nella stagione migliore per il runner.

Quella in cui le gambe spingono anche se il cervello dice no. Quella che ti fa venire voglia di correre forte, a perdifiato fino a non farcela più. Quella in cui ti avvicini ad un fosso e lo salti senza manco pensarci. Quella in cui sei solo con il mondo che ti circonda. Anzi, non sei solo. Sei con la moltitudine di animali che ti circonda. Quella in cui ingaggi una gara con una mini lepre e ne esci irrimediabilmente sconfitto. Quella in cui dopo una corsa, ti fermi e guardi in alto. Sorridi perché sei felice di poter correre libero come il vento.

Questa è la primavera del runner e farla in quarantena è la cosa peggiore che ci possa essere. La foto a questo post è la medaglia consegnata on line ai partecipanti alla prima ‘Stra in casa’ organizzata a favore degli ospedali. Forse ci saranno altre gare simili. Spero poche. Perché io non vedo l’ora di tornare a correre nelle mie campagne.

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